
La tecnologia rende la partecipazione democratica più accessibile ai cittadini. È più facile raccogliere firme certificate online su una proposta di legge popolare di quanto non lo sia farlo in cartaceo. La tecnologia lo consente. La legge, almeno in Italia, invece no.
Mario Staderini si batte da tempo per chiedere alla politica di sanare questa anomalia, e rimuovere il divieto – ingiustificato, assurdo – per i cittadini normali senza poteri alle spalle di esercitare il proprio diritto costituzionale di iniziativa legislativa. Lorenzo Mineo sta portando avanti con Mario una proposta di iniziativa popolare per i diritti politici in Italia. Qui le informazioni e gli strumenti per attivarsi.
In democrazia, però non sempre lo strumento più efficiente e tecnologico è anche il più giusto. Il voto elettronico (e/o online) ad esempio è una sciagura per i diritti dei cittadini perché non c’è (ancora) modo di garantirne la segretezza o la non-alterazione.
Andrea Andreoli è un eumano che queste cose le ha studiate bene e ne ha fatto obiettivo di iniziativa politica in particolare quando, in occasione del referendum per l’Autonomia della Regione Lombardia, l’allora governatore Roberto Maroni introdusse il voto elettronico attraverso i famosi “tablet” - in realtà delle macchinette ingombranti molto diverse dalla tavoletta usualmente intesa come tablet. La tecnologia era stata sviluppata dalla stessa azienda che forniva Nicolas Maduro, il dittatore venezuelano che ha affamato il suo popolo a furor di voti registrati dalla macchinetta elettronica. Insieme ai Radicali Milano, Andrea ha preso l’iniziativa di contestare il voto.
La partecipazione democratica in ambiente digitale non è una questione di tecnologia ma di processi codificati, ruoli e funzioni trasparenti, obiettivi e regole. La tecnologia consegue.
Il nostro Patto di Attivazione dice il chi-fa-cosa - e come - in questo movimento informale di cittadini europei che si vogliono attivare su obiettivi comuni. Questo come è legge!
È il Patto che indirizza i processi di partecipazione e determina la selezione e lo sviluppo degli strumenti digitali – e sottolineo sviluppo, perché non esistono strumenti digitali normativamente neutri. A qualunque tool digitale - che sia il sistema di mailing o una piattaforma di collaborazione - corrisponde un codice normativo non necessariamente coerente con la regola democratica cui deve corrispondere. Nel nostro caso, appunto, la regola democratica è il Patto di Attivazione.
The code is the law. Se il codice non è scritto per corrispondere a processi democratici codificati diventa lui legge - una legge inconoscibile.
La legge ormai è imposta dalle grandi piattaforme. Questo è un problema di democrazia, non solo di protezione dei dati o anti-trust. Facciamo un esempio.
Per scongiurare le infiltrazioni russe alle europee 2019 la Commissione Ue ha stipulato un accordo con Facebook nel quale è stato conferito a Facebook il potere/dovere di censura di quei contenuti ritenuti dall’algoritmo “ingerenze straniere”.
In particolare, Facebook nel corso della campagna elettorale ha avuto riconosciuta la facoltà di bloccare preventivamente contenuti sponsorizzati di natura politica prodotti in un paese diverso da quello di destinazione del messaggio. Così, a prescindere.
Ne hanno fatto le spese alcune ONG paneuropee che facevano campagne finanziate dal Parlamento europeo per estendere la partecipazione al voto alle ultime elezioni.
Come ha esercitato Facebook questo potere di censura? In maniera arbitraria e oscura – l’algoritmo è segreto e il suo potere censorio è arbitrario, cieco, oltre che stupido.
In Italia da qualche parte si propone addirittura di dare a Facebook compiti di polizia per contrastare il bullismo digitale. La soluzione trovata è vietare l’anonimato degli utenti.
Se una simile idea passasse, Facebook avrebbe il potere di censurare informazioni, profilare le persone e vendere le elaborazioni dei dati su quelle persone come verità. Ma avrebbe di fatto anche le prerogative riconosciute per legge solo all’anagrafe.
Questo genere di “soluzioni politiche” ai problemi democratici degli algoritmi totalizzanti esaspera il male. Estende alle piattaforme private poteri di censura e censimento che invece solo le leggi possono prescrivere e solo le istituzioni democratiche esercitare.
Che tipo di legge serve allora perché la tecnologia sia usata, e sia usata al servizio della democrazia, invece di essere impiegata - fuori dalla regola democratica - per piegare a furor di like la stessa democrazia?
Ne abbiamo discusso il 21 giugno a Milano al seminario Eumans per la Democrazia digitale con, tra gli altri, Marco Canestrari, Giulia Bertone, Stefano Quintarelli, Aaron McSween.
L'obiettivo è collaborare alla definizione di una Iniziativa dei Cittadini Europei.
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