
Il digitale ci consente di fare politica anche partecipando un mercoledì sera a una riunione in remoto, comodamente da casa nostra. Ci costa quasi zero fare questa politica. In realtà paghiamo con le informazioni personali che diamo alle piattaforme di video-conference (Skype, GoToMeeting...), con i dati che diamo alle applicazioni di registrazione agli eventi o di mailing (Mailchimp, Eventbrite, Typeform...), a Facebook, Twitter, Google - solo per nominare i principali strumenti usati da NOI fin qui.
Usiamo Facebook per far sapere alla gente che ci siamo, come un tempo si usava la TV. Lo usiamo non per conversare, non per dialogare ma per trasmettere a una platea il nostro messaggio, il nostro evento, il nostro video emozionale. Usiamo Facebook come broadcaster.
Sponsorizziamo un post, speriamo di andare in prima serata, ci ingegniamo perché la discrezionalità dell’algoritmo non ci discrimini, non ci renda invisibili a chi vorremmo arrivare, informarlo che ci siamo e di quello che facciamo.
Pannella andava alla Rai imbavagliato, quelle poche volte che lo invitavano, per protestare contro la censura che la Rai gli imponeva. Ci rompevamo tutti i coglioni di quei silenzi imbavagliati, non capivamo che la censura che Pannella denunciava penalizzava noi, non lui. Limitava i nostri diritti politici, la nostra cittadinanza democratica, non la sua. La censura in Rai aveva e ha un nome e cognome e delle regole note. Si chiama "governo di turno" ma anche "opposizione di turno". Una logica (malsana, partitocratica) in quella censura c’è.
Facebook invece censura o privilegia sulla base di regole stupide, nocive per tutti e utili solo a lui. Regole imposte a tutti noi da un algoritmo segreto. Il privato cittadino Zuckerberg decide se il politico Cappato si deve vedere o no, e chi lo deve vedere sulla propria timeline. Ma non c'è una logica censoria, esplicita, motivata in questo. Sono le parole-chiave, le interazioni, tutti quei parametri "oggettivi" che l'algoritmo è stato programmato per ponderare nella decisione - apparentemente misteriosa - di mostrare un contenuto o no, a chi e se addirittura rimuoverlo.
Noi ci interroghiamo sulla crisi della democrazia e siamo convinti che la terapia sia la partecipazione democratica, popolare. Io direi anche responsabile, consapevole. Cioè la unica, autentica partecipazione democratica.
Credo che Facebook vada usato come Pannella usava la Rai - magari in modo da non annoiare, possibilmente invece proprio per attivare. Per mobilitare le persone contro la manipolazione, le censure, l’algoritmo che determina la nostra possibilità, anche solo di conoscere, che Cappato stasera fa una riunione. Bisogna conoscere i criteri dell'algoritmo ed avere ciascuno di noi il potere di impartire le nostre.
Il fatto che non si possa proprio fare politica senza usare i social - che sono piattaforme commerciali private. Il fatto che sei obbligato a cedere dati personali a giganti monopolistici - per fare politica - per me è un tema politico.
La democrazia di Facebook ha regole oscure, arbitrarie - regole non neutrali. Le persone non hanno alcun potere né di conoscere né di controllare la realtà digitale che l'algoritmo ha predisposto per loro. Né hanno alcuna possibilità di valutare il danno potenziale dei propri dati personali e sensibili, liberamente dati in uso alla piattaforma - come gli innocui selfie collettivi alle feste mezzi ubriachi.
Questo è un tema politico, credo sia un tema sostanziale.
Non si tratta di rinunciare ai social network ma di acquisire consapevolezza politica delle funzioni e azioni digitali che assumiamo sui social, smettere di subirli e piuttosto orientarli. Abbiamo voglia di attivare mobilitazione su questo? Se sì, come?
Certo non saremmo i primi, non saremmo soli e non saremmo solo in Italia.
Fare politica online.
Va di moda il concetto di "partito piattaforma" - il Mov 5 Stelle buono. Un partito piattaforma pero è una piattaforma - cioè gli algoritmi, il codice, i dati degli utenti usati per le finalità decise da qualcuno che non sono gli utenti. Non credo sia quello che stiamo facendo noi. Noi stiamo creando un “ecosistema” - come lo chiama con precisione Virginia - un ecosistema di iniziativa per la democrazia, per l’ambiente, per l’economia. Questa cosa è inconsueta.
Al momento le nostre idee, le iniziative, i temi li abbiamo selezionati e cominciato a lavorare dall’alto - a partire dagli “esperti”. La Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) per lo Stato di Diritto, per intenderci, difficilmente sarebbe stata proposta in una raccolta di idee libere votate sul web!
Come possiamo mobilitare le persone interessate a fare politica in modo costruttivo, libero, responsabile, con strumenti congeniali ed un metodo efficace - il nostro metodo?
In che modo possiamo favorire – con gli strumenti digitali – la collaborazione sulle iniziative?
Come possiamo essere utili anche ad altre realtà, essere quindi un (eco)sistema di attivazione - e non solo lo spazio per l’iniziativa attivata in questi mesi da Marco Cappato?
Non siamo (ancora) un'associazione quindi non abbiamo una cornice di diritti/doveri di partecipazione. La mission di questa mobilitazione (sin qui soprattutto di ingegno) sta venendo fuori via via. Il sito - che continua a cambiare, nei contenuti e nella architettura dei contenuti - è la traduzione fedele di questa “cosa” che diviene mentre si fa.
Gli strumenti digitali sono funzionali ai processi di partecipazione. I processi di partecipazione - cioè il come facciamo politica - dipendono dalle cose che effettivamente facciamo - ad esempio, i seminari, le riunioni, i contributi scritti, le discussioni via mail, presto i primi strumenti per collaborare e conoscere e per l’attivazione sulle prime iniziative. Gli strumenti digitali devono essere coerenti con questo "come", non predeterminarli. Ad esempio, vogliamo che i dati di chi fa politica con noi siano condivisi con Google?
Io credo che abbiamo bisogno di farci delle domande - ce le stiamo già facendo - per capire come avanzare via via - cioè quali processi di partecipazione alle iniziative (che vogliamo "popolari") istruire quali strumenti digitali attivare.
Abbiamo bisogno anche di acquisire (e far acquisire a chi partecipa con noi) consapevolezza politica di quello che si fa quando si fa politica nella dimensione digitale - far capire quanto costa, in termini di diritti democratici, il “gratis” delle piattaforme digitali gratis.
Non esiste nel digitale la privacy o la sicurezza democratica assoluta. Il voto online o elettronico, ad esempio, non è segreto. Bisogna saperlo, esserne consapevoli e rendere consapevoli chi si inviterà a partecipare votando online qualcosa.
Dobbiamo quindi sempre motivare le nostre scelte sugli strumenti digitali, anche se la scelta fosse usare Google Docs perché è troppo difficile convincere tutti a cambiare abitudine per uno strumento più rispettoso della privacy.
Abbiamo bisogno - e questo è un punto sostanziale - di rimanere ancorati ad una dimensione scientifica. Le sperimentazioni sulla democrazia digitale, nelle sue varie forme, locali e nazionali, amministrative o politiche, sono già abbastanza solide. Non siamo su questo degli assoluti pionieri.
- ACCEDI o REGISTRATI per commentare.
…