
412 parti per milione, ovvero la concentrazione media della CO2 in atmosfera registrata nel 2018. Il dato è impressionante, ma pretendere che quest’informazione possa generare un senso di emergenza nella popolazione mondiale è utopia. Il problema del riscaldamento globale, la necessità di ridurre l’uso di combustibili fossili, di riciclare i rifiuti, sono temi di cui si discute con cadenza frequente ormai da più di 20 anni.
Purtroppo, l’estensione internazionale di questi problemi ha fatto sì che non si riuscisse a percepirne la gravità a livello cittadino, almeno finché il danno ambientale non è diventato visibile, tangibile, rilevante per la qualità della vita delle persone. Lo scioglimento dei ghiacci, l’estinzione di specie protette, i rifiuti ammassati per strada, le catastrofi metereologiche, la plastica nei cadaveri dei cetacei spiaggiati; questi eventi ci hanno convinto che l’emergenza ambientale esiste.
Per risolvere il problema, il primo passo è individuarlo, identificarne la portata. I dati che abbiamo in mano ci dimostrano che dal 1980 al 2019 l’aumento della concentrazione della CO2 in atmosfera ha portato ad un incremento medio della temperatura di circa 1°C, con effetti sull’intero ecosistema. Tuttavia, questo dato relativo al cambiamento climatico è, se possibile, riduttivo. Il quadro è infatti incompleto perché non considera la totalità degli effetti dannosi per l’ambiente causati dall’insostenibilità del nostro sistema produttivo fondato su uno sfruttamento intensivo e sbilanciato delle risorse.
Nel corso dei decenni passati qualsiasi ciclo produttivo si è infatti basato sulla soluzione apparentemente più semplice e più economica: quella lineare. Questa soluzione si traduce in un prelievo delle risorse dalle riserve che le rendono più facilmente estraibili, a cui segue il processo di raffinazione e manifattura dei prodotti che, una volta raggiunto il fine vita, vengono smaltiti. Questo schema di produzione ha influenzato l’industria energetica, quella della plastica, dell’agricoltura, l’industria alimentare, il settore idrico e manifatturiero. Il paradigma è ben noto ad ognuno di noi: combustibili fossili come fonti di energia o carbonio, acque di falda o superficie per qualsiasi consumo, rocce come fonte di elementi fertilizzanti (fosforo), miniere per l’estrazione di metalli rari. Se a questo si aggiunge una domanda sempre più intensa, il risultato è scontato: esaurimento delle riserve, accumulo degli scarti, produzione massiva di CO2. Da cui, necessariamente:
Inquinamento della superficie terrestre - Contaminazione degli oceani - Riscaldamento globale.
La soluzione per un problema così vasto deve partire da un messaggio forte. Quello che proponiamo è una presa di coraggio da parte delle istituzioni, un cambiamento radicale del nostro sistema: spostare la pressione fiscale dal lavoro allo sfruttamento delle risorse.
Proprio su questo si focalizza la proposta di Iniziativa Cittadini Europei su cui stiamo lavorando: tassare la produzione di CO2, ovvero tassare lo sfruttamento di quelle risorse che sappiamo essere in esaurimento e che, soprattutto, sono responsabili del riscaldamento globale. Questa soluzione favorirebbe la transizione verso fonti rinnovabili ed efficientamento per settori come l’energia, l’acciaio, i trasporti, ed altri settori ad alto consumo energetico. La proposta che abbiamo fatto mira, inoltre, a ridurre l’import di combustibili dall’estero, favorendo l’economia circolare. Ridurre il consumo di risorse significa infatti ridurre la produzione di quei prodotti superflui, o difficili da riciclare e massimizzare il riciclo per ottenere, dai rifiuti, prodotti di alto valore capaci proprio di sostituire i materiali fossili.
Da questa proposta nascono quindi una serie di iniziative altrettanto ambiziose, che riguardano uno sfruttamento sostenibile delle risorse e dei materiali.
L’acqua. I fenomeni di siccità interessano il 17% del territorio Europeo, in particolare i paesi mediterranei. Eppure, circa il 30% dell’acqua consumata viene sprecato nella gestione. Considerando che si attende un aumento del 16% dei consumi entro il 2030, i rischi di siccità aumenteranno. Per questo siamo convinti della necessità di applicare all’acqua il concetto di industria 4.0., introducendo sistemi di monitoraggio domestici ed industriali, migliorando i sistemi di depurazione e favorendo la simbiosi tra impianti di trattamento e settori industriali ad alto consumo (carta, carne, agricoltura, etc, ...)
I boschi e le foreste. Le aree boschive sono un patrimonio di risorse, per l’Italia come per molti altri paesi. L’economia delle zone montane per anni si è basata sulla gestione e sull’utilizzo calibrato di ciò che i boschi offrivano. Purtroppo, a causa dell’abbandono dei piccoli paesi montani, le risorse delle aree boschive sono oggi mal gestite e sottovalutate. La manutenzione di queste aree contribuirebbe a ridurre il dissesto idrogeologico e renderebbe disponibile un’ingente quantità di materiale biologico e rinnovabile: la biomassa. Per questo dovremmo identificare le aree boschive più critiche in termini di accessibilità e gestione, e pensare a stabilire un contributo fisso ai proprietari di queste zone, per garantire un ripopolamento dei paesi ed uno sfruttamento efficiente di questa risorsa.
Le plastiche. Le plastiche possono essere prodotte da fonti biologiche, ma nonostante questo alcune tipologie non sono biodegradabili. Il riciclo delle plastiche è un’attività che ha comunque un fine vita, poiché ogni tipologia di plastica può essere sottoposta solo ad un numero massimo di cicli di recupero. Per questo riteniamo necessario che il primo obbiettivo sia ridurre il consumo di prodotti plastici superflui, come vaschette per prodotti alimentari, buste preconfezionate di carne o frutta.
Urban Mining. I rifiuti urbani, come la plastica non riciclabile, l’organico domestico, i fanghi civili di depurazione, rappresentano l’ostacolo principale per attuare una vera economia circolare. Quello che vogliamo fare è spingere per sistemi di raccolta porta a porta, per poi diffondere un sistema puntuale di tassazione dei rifiuti, basato sul “non differenziato”, piuttosto che sulla superficie degli immobili.
Crediamo inoltre che sia necessario introdurre, tra i criteri di valutazione per impianti di riciclo, due priorità finora trascurate: la sostenibilità ambientale della filiera proposta (LCA), ed il valore economico ed ambientale del prodotto ottenuto. È necessario quindi aprirsi a tecnologie avanzate, dando priorità ad impianti di riciclo che estraggono prodotti capaci di sostituire materiali oggi sempre più scarsi: fosforo, carbone, metalli rari. Attraverso questi ed altri strumenti che promuovono un alto grado di valorizzazione, sarà così possibile eliminare gradualmente lo smaltimento in discarica dei rifiuti urbani, portare il riciclo effettivo a valori elevati e limitare la pratica dell'incenerimento. Se si trasforma il rifiuto in una risorsa per produrre materiali di valore e con una domanda reale di mercato, non è più così ambizioso pensare di riciclare più del 70% dei rifiuti entro il 2035.
Non siamo più nell’epoca del: “salviamo il pianeta per i nostri figli”. I figli siamo noi, siamo già arrivati, il danno è enorme ed è sotto i nostri occhi.
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