Praticare i diritti di cittadinanza nell’era digitale

Democrazia digitale, Fondazione RCM

Giulia Bertone è direttore di Fondazione RCM. Qui di seguito il testo dell'intervento che Giulia ha fatto al seminario Eumans per la Democrazia digitale a Milano, il 21 giugno 2019.

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Vorrei portare a questo incontro l’esperienza diretta della nostra realtà perché penso possa essere utile per approfondire e focalizzare alcuni temi che sono in discussione oggi.

La Fondazione Rete Civica di Milano è nata dall’evoluzione della Rete Civica di Milano che è una delle prime reti civiche di Italia, cioè una delle prime esperienze in cui comunità di cittadini utilizzavano Internet per connettersi, comunicare tra loro e condividere e discutere idee, bisogni legati al loro essere cittadini di Milano
La Rete Civica nasce come progetto del laboratorio di informatica civica della statale.
Era il 1994.
Io non ero qui in quegli anni, iniziavo proprio nel 1994 l’università a Torino. Mi ricordo quella stagione come una stagione di grande entusiasmo, di grande fiducia nella natura “progressiva” di Internet. C’era fiducia che questa tecnologia avrebbe cambiato- stava cambiando- la società e in meglio.
De sola pool scriveva nel 1995 “Tecnologie di Libertà, informazione e democrazia nell’era digitale”.  Internet nasce con queste grande promesse.

E però già in quel periodo c’erano delle voci dissonanti e critiche. Non mi riferisco a quelli che demonizzavano le tecnologie e le rifiutavano con delle posizioni un po’ astoriche, ma quelli che avevano chiara la consapevolezza che la promessa di maggiore democraticità e miglioramento dei diritti e della società non era per nulla scontata e che, anzi, si stava aprendo grazie al digitale una nuova stagione di conflitto e di interessi in competizione.

Ho fatto una tesi sul “cyberfemminismo” e mi ricordo ancora, in un paper, una frase che mi colpì e divenne l’ispirazione della tesi: “Il Cyberspazio – allora andava di moda questo termine “gibsoniamo” -  è uno spazio sociale di discorsi in conflitto.” C’era bisogno di “esserci”, soprattutto per le donne, di non rimanere a guadare che gli altri facessero, per evitare che vecchie esclusioni si riproponessero o si radicalizzassero, e che se ne creassero di nuove.  C’era bisogno, soprattutto, di “appropriarsi” delle tecnologie, di appropriarsi dei codici di questo nuovo spazio sociale.

Alla fine non si è creato un nuovo spazio sociale: le tecnologie hanno permeato e ibridato all’osso quello esistente, sconvolgendo letteralmente le sue fondamenta e i pilastri su cui storicamente si sono costruiti idiritti di cittadinanza della nostra società.  
C’è ora bisogno di ripensarli promuovendo pratiche per un loro effettivo esercizio.

UNA FONDAZIONE PER LA CITTADINANZA NELL’ERA DIGITALE
Proprio in questi giorni stiamo riscrivendo lo statuto della nostra Fondazione, e ne stiamo rivedendo la mission,
La Fondazione RCM nasce nel 1998 per “progettare, gestire e sostenere ambienti di partecipazione attiva dei cittadini” .
L’obiettivo iniziale era quello, partendo dell’esperienza milanese della rete civica, di operare  per promuovere un maggior coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni che li riguardano. Con il tempo ci siamo però convinti che operare solo al livello del coinvolgimento e della partecipazione dei cittadini non è sufficiente.
Nell’era digitale bisogna lavorare in ottica di “ecosistema della  cittadinanza”, agendo su diversi fronti e a diversi livelli.
Ecco quindi che il nuovo statuo adotta una mission più estesa:
La nuova Fondazione ha l’intento di promuove l’esercizio di tutti i diritti di cittadinanza nell’era digitale.

Quali sono questi diritti e cosa fare concretamente per promuoverne l’esercizio?
Abbiamo provato ad articolare in modo operativo il concetto di cittadinanza digitale per capire quali azioni, quali pratiche sviluppare concretamente.
Proponiamo dunque di lavorare su un framework che identifica otto livelli di diritti che devono essere garantiti ai cittadini nell’era digitale:
il diritto a una rete trasparente e neutrale
il diritto all’accesso universale alla rete
il diritto alla formazione e allo sviluppo delle competenze digitali
il diritto all’accesso e all’uso dei servizi pubblici digitali
il diritto alla trasparenza, all’accesso all’uso dei documenti e dei dati digitali
il diritto a informare e a essere informati
il diritto a essere ascoltati e consultati nelle decisioni
il diritto di essere coinvolti attivamente nelle scelte e nelle politiche che li riguardano

Ognuno di questi otto livelli è terreno di sperimentazione di politiche, di pratiche e di proposte.
Vi faccio ora qui solo alcuni esempi dei livelli più alti che sono i livelli sui quali noi di solito operiamo:
cosa fare concretamente per garantire il diritto di informare e di essere informati? La Fondazione progetta e implementa ambienti per facilitare la condivisione di informazioni sulle decisioni pubbliche sulle politiche pubbliche. Informazioni che arrivino da più parti e da fontidifferneti, dalle amministrazioni e anche dal basso. Vogliamo pensare che questo diritto possa essere esercitato anche al di là di Facebook.
diritto di essere coinvolti attivamente nelle scelte e nelle politiche che li riguardano: abbiamo sperimentato negli ultimi anni le pratiche dei Bilanci Partecipativi, coinvolgendo i cittadini nella scelta di come destinare parte delle risorse dei bilanci comunali. Lo stiamo facendo innovando digitalmente un pratica che già esisteva e che con il digitale ha potuto ridefinirsi in un ottica “ibrida”  acquisendo una maggiore trasparenza e possibilità di inclusione e autonomia per i partecipanti. Questo livello, che è poi quello dell’applicazione dei software di idea gathering, e-deliberation, e-voting, è attualmente in grande fermento e oggetto di sperimentazioni digitali interessanti che devono essere valutate con attenzione.

IL DESIGN “SOCIO-TECNICO”
Abbiamo sviluppato un software open source perché pensiamo che tutte queste cose vadano fatte non in ambienti proprietari ma in ambienti open e trasparenti. Il software si chiama openDCN (open Deliberative Community Network) ed è stato sviluppato nel corso degli ultimi 15 anni insieme agli studenti e ai ricercatori del dipartimento di informatica della Statale.
Ma, anche rimanendo nell’ambito dell’open source, di software ce ne sono tanti altri e tanti ne stanno nascendo. E allora quale scegliere? Come scegliere?

Quello che vorrei sottolineare è l’importanza dell’approccio. La scelta del software deve essere una conseguenza di una fase di progettazione delicatissima che noi chiamiamo progettazione socio tecnica degli ambienti di e-democray
In assenza di questa, corriamo il rischio che il processo si faccia poi dettare le regole dal software, perché comunque il software detta legge, abilitando o meno certi tipi di azioni e relazioni online.

Gli ambienti digitali in cui praticare l’esercizio della cittadinanza e della democrazia nell’era digitale – siano processi deliberativi, consultivi, o anche solo informativi -  necessitano di una analisi raffinata dei requisiti “sociali”, che porta a identificare le regole del processo.  Sono quetse regole e questi requsiti che guidano poi la progettazione e lo sviluppo del software, la scelta dei tool e la selezione delle features. Non può avvenire il contrario!

Ci sono alcuni aspetti particolarmente delicati che la progettazione sociotecnica di un ambiente online per la democrazia digitale pone.
Una di questi è l’ownership: di chi è l’ambiente su cui avviene il processo? E chi accede al codice, all’algoritmo? C’è differenza se questi processi vengono fatti su spazi di proprietà pubblica, di proprietà del decisore o di proprietà di terze parti o di proprietà privata
Un ulteriore tema in gioco è la modalità di identificazione dei partecipanti, (legato al tema dell’identità digitale). Che livello di sicurezza di identificazione esige il nostro processo? Possiamo tollerare che le persone partecipino con identità diverse? Quali dati ci servono e siamo disposti a chiedere ai nostri partecipanti? Infine, quali politiche di moderazione, accesso e gestione dei contenuti è meglio adottare per il processo. I dati e i contenuti prodotti e condivisi dai partecipanti possono essere cancellati? O modificati? Fino a quando? Chi ha acceso ai contenuti? Chi vede cosa?
La definizione di tutti questi aspetti, così come la definizione dei ruoli e dei “permessi” di operare a diversi livelli nell’ambiente digitale deve riflettere un preciso “progetto” socio-tecnico del processo.

Sono scelte delicate di cui i partecipanti all’ambiente devono essere esplicitamente resi consapevoli, attraverso una comunicazione trasparente, un vero e proprio “patto” da sottoscrivere, ad esempio, al momento, della registrazione. Questa sottoscrizione assume una forma un po’ diversa dalla semplice accettazione dei “termini di uso” o “termini del servizio” che siamo abituati a vedere nei contratti di attivazione di app o servizi social. Si tratta davvero di un “patto di partecipazione”, di condivisione delle regole del gioco democratico.